Alla memoria di Fulvio Costa. Quegli anni 1970-1980 a Vicenza: un’epopea! Riflessioni e ricordi. di SERGIO CERONI.

20:12 in Amici dell'Atletica da admin

IL CSI FIAMM VICENZA 1970-1980

Gli anni 1970-1980 segnarono un’epoca. Avevamo i saltatori in alto giovani così forti, così forti, che ora, negli anni 2010, in nessuna società d’Italia li trovereste. Si doveva finire al nostro settimo uomo per scoprirne un primato personale sotto i due metri (Pietribiasi 2,20, Collenz 2,09, Galvan 2,06, Rosa 2,05, Raggi 2,04, Ferrarotto 2,00, Cestonaro 1,99). Avevamo velocisti giovani che tutti in Italia ci invidiavano, da Massimo Munich (10”8 e sopra i sette metri a 15 anni sulla terra rossa), a Diego Nodari (due volte 10”2 manuale a 16 anni, sempre sulla tennisolite), a Roberto Ribaud (anche lui, giovanissimo, sotto i 48”), a Paolo Rigodanzo (veloce anche sulle barriere del giro) tanto per citarne qualcuno. E dietro loro arrivavano sempre più giovani rampanti, a imitarne le gesta (da Nicola Gemo, a Umberto Pegoraro, a Diego Zocca, a Enrico Neri, soltanto per citarne alcuni).

Ma soprattutto il gruppo di mezzofondisti veloci, il più forte d’Italia, era quello che si mostrava più appariscente, la nostra vetrina invernale, alle campestri, poi anche estiva, nelle gare su pista, da quelle scolastiche primaverili a tutte quelle più avanzate, CSI e federali. Da quando i nostri erano nel biennio della scuola a quando approdavano nelle categorie juniores, fino a quando “arrivavano”, pronti per emigrare ai gruppi sportivi militari.  Tanto per fare un esempio, un Maurizio Savi, valdagnese dalle belle speranze, con risultati sotto i 2’40” sui mille della scuola, mezzofondista che avrebbe vinto la fase provinciale nel 90% delle provincie italiane, a Vicenza poteva venir relegato oltre il dodicesimo posto nella gara provinciale più ambita, stritolato da Fulvio Costa, Umberto Balestro, Gigi Quagli, Giuseppe Rossino, Francesco Palma, Saverio Parma, Sergio Gelain, Francesco Pretto, Michele Barcarolo, Fabio Fioravanzo, Roberto Marangon, Andrea Berengo, Valter Noro.

Ed erano appena passati di categoria e non potevano competere più con lui Sergio Pesavento, Paolo Fattori, Riccardo Amadori, Amedeo e Maurizio Battistella, Romolo Rigo. E Gelindo Bordin e peggio ancora Orlando Pizzolato erano troppo lenti per il mezzofondo veloce, sarebbero arrivati al traguardo ben dopo Maurizio, avvezzi a piazzamenti scadenti anche nelle gare domenicali CSI puttosto brevi. Più avanti Gelindo e Orlando trovavano conforto, e risultati, il primo nelle siepi, il secondo nelle maratonine.

Erano tempi in cui noi tecnici non avevamo una specializzazione e allenavamo ciascuno il suo gruppo, fatto di propri allievi di scuola del mattino con loro amici provenienti magari da altre scuole, e dunque correvamo nei vari siti del campo, per lo più in zona partenze degli sprinter, in quinta e sesta corsia per correggere i gesti tecnici degli ostacolisti, in zona d’arrivo per prendere i tempi delle ripetute dei mezzofondisti, nelle pedane di alto e lungo. Era un correre e trafelarsi continuo, per tre ore ogni pomeriggio.  Certamente commettevamo tanti errori: quello ad esempio, di far correre la campestre scolastica anche a esplosivi, velocisti e saltatori in alto. Trasformavamo le loro fibre neutre in lente e resistenti. Avevo avuto Guido Marangoni che faceva 11”3 sui 100. Lo feci diventare primatista italiano dei 1200 Allievi. Toglieva il primato a Quaglia per poi cederlo a un altro uomo di razza della terra vicentina, lo scledense Annibale Mioni. Tiravo fuori Claudio Maculan, che negli ostacoli bassi della scuola, con 10” netti sugli ottanta, strappava il primato italiano studentesco nientepopodimenoche…a Eddj Ottoz. Tiravo fuori carroarmato Luciano Caravani e allora nelle alte sfere si accorgevano anche di Vicenza. Venivo convocato ala corte di Carlo Vittori, il mio grande maestro, e diventavo specialista nazionale del settore velocità e ostacoli. Tutto ciò che facevo, in palestra al mattino e al campo di Via Rosmini, sapeva di “vittorismo”. Tutto era impregnato di “vittorismo”, anche quello che facevo con i mezzofondisti.  Esercizi tecnici ed esercizi tecnici, prove d’impulso, potenziamento a carico naturale, fino a gare di balzi, salite, salite e salite e poi anche discese e fiondate con l’elastico. Insomma…Enrico Neri aveva il primato sui cento scrupolosamente  misurati, in discesa dal Museo del Risorgimento, cinquecento metri dopo l’apice delle logge di Monte Berico, di 9”4. Diego Nodari, a quindici anni, alto neanche uno e settanta, mi toccava il canestro da sotto, da fermo, senza rincorsa. A scuola, ai Geometri, Gelindo Bordin, sì, proprio Gelindo Bordin, con rincorsa mi schiacciava a canestro, con una palletta sgonfia: credo proprio che tante maratone le abbia vinte anche grazie a tanta esplosività che gli ho fatto maturare attraverso il verbo vittoriano.

 NEL NOSTRO MEZZOFONDO UN RAGAZZO, VENUTO DA COGOLLO, FULVIO COSTA.

 Fulvio Costa, il mezzofondista di Cogollo del Cengio,  era nato il 9 novembre 1959. Veniva al CSI Fiamm da allievo, allenato da Walter Dalle Molle di Piovene, un grande, che già aveva portato al club vicentino fondisti di eccellente rilievo, primo tra tutti quel Francesco Barattoni che, sfortunatamente senza conseguire la maglia azzurra neanche a livello giovanile, aveva primeggiato in lungo e in largo, in ambito regionale e nazionale, ai tempi di Dario Rappo, di Rolando Lievore e alla fine della carriera di Mario Binato, al quale più di un dispiacere era riuscito a dare nelle gare su strada.

Nel 1976 Fulvio Costa, a soli sedici anni, aveva vinto il titolo nazionale Allievi nei 3000 con il tempo di 8’24”6.

A Viareggio vinceva il titolo italiano staffette 4 x 1500 assieme a Umberto Balestro, Saverio Parma e Giuseppe Rossino. La nostra società detiene ancora quel primato, rimasto imbattuto. Due anni dopo si era aggiudicato il titolo nazionale juniores sempre nei 3000, ma già si preventivava che la distanza dei 1500 sarebbe stata la sua preferita. Già il 1979, quello dei suoi diciannove anni, doveva rappresentare per lui un’anno eccezionale, con risultati eclatanti, di valore internazionale. Si tenga conto che l’età dei venti anni, nel mezzofondo, non rappresenta assolutamente il periodo della maturità, dunque si rifletta sui margini di miglioramento ancora a lui attribuibili.  Appunto a non ancora vent’anni si aggiudicava il suo primo titolo assoluto, sui 1500 all’aperto. Il 4 Settembre 1979, a Bruxelles, incredibilmente realizzava sui 1500 il crono di 3’37”8, che rappresentava il terzo tempo assoluto di sempre in Italia, superiore soltanto a quelli di Franco Arese e Luigi Zarcone. Più avanti avrebbe fatto meglio di lui un altro uomo di razza vicentina, un altro nato tra noi, il nostro Vittorio Fontanella.

Nel Febbraio 1982 aveva appena vinto il titolo italiano assoluto nei m.1500 indoor, con una performance tecnica di livello mondiale. Fulvio era stato ricoverato il 12 Marzo in ospedale, una decina di giorni dopo il fattaccio del morso alla mano del suo cane, che egli aveva tentato di soccorrere per un osso incastratogli in gola.  Stava proprio allenandosi accompagnato dal suo cane, quando improvvisamente l’animale aveva iniziato a guaire. Liberava la gola del suo cane dall’ “osso incricà”, come ci aveva descritto, ma si beccava la reazione del morso che lo feriva alla mano ma non gli causava la interruzione immediata dell’allenamento. Conclusa la seduta, soltanto per scrupolo, andava al Pronto Soccorso a farsi vedere per tre punti di sutura e per  l’antitetanica di rito. Sopravveniva l’insorgenza di una glomerulonefrite che non lo faceva più uscire dal San Bortolo di Vicenza e lo accompagnava fino alla tragica fine del 30 Maggio, alle ore 23 , quando si spegneva dopo la lunga agonia in quella triste notte tra Sabato e Domenica.

“La malattia, subito dopo la vaccinazione antitetanica,” aveva spiegato il Prof. La Greca, “aveva avuto una reazione tumultuosa e violenta”.

Vita troppo presto spezzata, dunque, quella di Fulvio, carriera interrotta, troppo breve per un atleta dalle grossissime ambizioni. Il suo momento magico era iniziato con il Meeting Internazionale di Zurigo del 1979. Lui, ancora soltanto ventenne. Poi Vittorio Fontanella aveva stabilito il primato italiano, per cui il suo tempo diventava il quarto d’Italia. Sì, tra parentesi, due vicentini nei primi quattro. Dopo due anni in sordina, sfortunati per vari infortuni, l’inizio del 1982 vedeva il ritorno ala miglior forma di Fulvio, che si imponeva a Torino con l’aggiudicazione del titolo italiano indoor sempre sulla stessa distanza. Stava preparando gli Europei indoor, ai quali avrebbe dovuto partecipare da protagonista. Fulvio però seguiva dall’ospedale la manifestazione alla quale aveva puntato con tante speranze. 

FILOSOFIE DEL MEZZOFONDO E FONDO

In Italia allora esistevano tre scuole del pensiero mezzofondistico e fondistico: scuole che facevano capo a Clemente Polizzi in Sicilia (si ricordino i vari Zarcone, Cinà, Antibo, i fratelli Selvaggio, Zingales), a Gianni Rondelli della Pro Patria di Milano (Cova, Panetta,Truschi, Marchei, Toschi, Arisi), a Conconi  in quel di Ferrara (Magnani).

 ANEDDOTICA

 Memorabili i racconti delle sue imprese. Raccontava scherzosamente di sfide che faceva ad amici e conoscenti. Lui, di corsa, a piedi, contro ciclisti: “Da dabasso, da Cogollo, a su, a Treschè. Chi vincerà?”. Inaspettatamente, sorprendentemente, vinceva sempre lui la scommessa. E su, al traguardo concordato, gli toccava anche aspettare più di qualche minuto prima che potesse arrivare il malcapitato strabattuto avversario di turno. Il fatto è che… il ciclista, sicuro di sé, un po’ snobbava la sfida e in più percorreva tornanti che allungavano la distanza, mentre lui conosceva come le sue tasche percorsi dritti, pur ripidi, della Vacca Mora di asiaghese memoria. Il trenino degli anni ’50, dai percorsi e camminamenti sui quali si allenava tutti i giorni. Sì, insomma, Fulvio era un po’ come gli atleti Keniani odierni dal vissuto particolarissimo, quelli che a partire dai cinque anni di età soltanto per andare a scuola percorrono quotidianamente di corsa per decine di chilometri di andata e altrettanti di ritorno le dune degli altipiani.  

 SU FULVIO COSTA    (in sintesi)

 - Nato il 9 Novembre 1959 a Cogollo del Cengio.

Il 1979 è la sua annata eccezionale, con risultati eclatanti, di valore internazionale.

Nel 1980 e nel 1981 non si vede che in sporadiche occasioni, con risultati mediocri.

Nell’inverno 1982 improvvisamente esplode, stupendo tutti nelle gare indoor. Vince un 3000 in un meeting nazionale e poi vince il titolo nazionale indoor sui m.1500, a Torino, alla fine di Febbraio.

Nella prima decade di Marzo viene ricoverato per glomerulo-nefrite all’ospedale San Bortolo di Vicenza, nel reparto nefrologia.

Sabato 29 Maggio, alle ore 23,00, muore.

Da indagine:

Nel reparto nefrologia dell’ospedale civile di Vicenza ci sono il Dottor Giuseppe La Greca, la Dott.ssa Alessandra Brendolan, il Dott.  Mariano Feriani.

Il laboratorio di anatomia patologica dell’ospedale civile di Vicenza, presieduto dal Dott. Meli, esegue l’autopsia Lunedì 31 Maggio.

La cartella clinica è documento privato. Non ne è possibile la consultazione.

Tanti sono stati i dubbi, i sospetti, gli interrogativi, le insinuazioni. Ma come? su chi? Perfino io sono stato scomodato dal vicequestore Pierguido Soprani, di Ferrara, come…persona informata dei fatti.    

Io, persona informata dei fatti?

Le domande: Auto o etero-emotrasfuzione? Quale la sua periodicità di frequenze a Ferrara? E da chi? frequentava anche un certo Tom Assi? Negli inverni ’81 e ’82 era stato in altura, in Kenia?

Li deludevo, non potendo collaborare, non potendo affermare  concretamente nulla che li potesse soddisfare.  

Congetture:

 a) c’era a Ferrara, nello staff che aiutava gli atleti, un certo Dott. Zilio; dal 1983 pare che non ci sia stato più nel giro per  motivi di etica professionale, per problemi di coscienza subentrati dopo la morte di Fulvio.

b) Fulvio Costa risultò allergico all’antitetanica; perché gli sono stati applicati tre vaccini nello spazio di breve tempo, con tutti i rischi che si sapeva potesse correre? Oltretutto, in fin dei conti, lo aveva morso il suo cane, non un animale che non conosceva.

        Per concludere, di Fulvio Costa  si può dire soltanto che fu un grande, grandissimo. Innamorato del suo sport, talento enorme, appassionato, sfortunato. Tirato su nel nostro ambiente vicentino, attorniato da amici, fare sport per lui significava far fatica, mettersi alla prova, misurarsi, star bene con gli altri. Per lui fare sport significava fare festa. E, certo, significava non accontentarsi mai, ambire a sempre qualcosa di più, a nuovi traguardi. Noi non sappiamo se si sottoponesse alle pratiche del sangue, ma, signori, eventualmente fosse stato, non le inventava lui, ma forse in quell’ambiente gli venivano proposte, le seguivano tutti gli altri, e non erano vietate. L’autoemotrasfusione sarebbe poi stata segnalata come terapia dooping, nel 1984. Grande dunque il nostro Fulvio, tecnicamente e sotto il profilo etico. Noi lo sentiamo tutti vicino ai nostri cuori e lo applaudiamo.